Vini italiani contro vini australiani: su cosa bisogna migliorare.

Il primo post dopo la pausa estiva farà storcere il naso a qualcuno. Su cosa si possono confrontare due tradizioni vinicole così diverse l’una dall’altra, se non sulla qualità organolettica del vino? Ebbene, in ambiente internazionale, un buon Sassicaia è meno piacevole -agli occhi- di uno Yellow Tail.

Questione di etichetta, certo. Ma se è vero che mangiamo (e beviamo) con gli occhi, oggi il design del prodotto sta diventando centrale nel mercato globale, e spesso non primeggiamo sotto questo punto di vista. Ci sono molti esempi di etichette italiane molto curate , ma purtroppo molti vini nostrani sono ancora vittime di un’idea di bottiglia troppo provinciale.

Se vogliamo che i vini italiani compaiano sugli scaffali di rivenditori sparsi per il globo, bisogna cambiare strategia. Allora meglio puntare ad un’etichetta classica, puntando sulla tradizione, o lanciarsi nel vivace terreno del design moderno?

10 commenti su “Vini italiani contro vini australiani: su cosa bisogna migliorare.

  1. lois ha detto:

    Molto probabilmente la giusta via (come spesso accade) è nel mezzo. Ci sono effettivamente in Italia delle case vinicole che pur producendo un ottiml vino danno poco conto alla comunicazione. Il mondo dei vini è oggi un po’ come quello dei libri; l’offerta è vastissima e se si va alla ricerca di qualcosa di nuovo è solo l’etichetta che fa la differenza. C’è una nota casa campana che è riuscita a mettere insieme la tradizione e il design creando così un’immagine riconoscibile e di grande impatto.

    • Bricolage ha detto:

      Bravo, è un ottimo punto di vista. Concordo sul fatto della comunicazione.
      Il vantaggio italiano, e di tutti quei paesi del vecchio mondo, è di avere una tradizione e una buona storia alla spalle. Se tutto questo confluisse informazione e innovazione, molto probabilmente saremmo in grado di soddisfare buona parte dei segmenti di mercato su cui sono posizionati i nostri vini.
      Per quanto riguarda l’etichetta, sebbene essa possa essere accattivante, la qualità è l’arma migliore per fidelizzate.
      Di fatto, sulla base delle statistiche che ora sto studiando, il livello dei vini italiani non è di certo basso (ho i dati che risalgono al 2008 – 2009), essi riportano il nostro paese tra i primi al mondo in produzione e esportazione. Vanno, in definitiva, potenziate le analisi di marketing, soprattutto se si parla i produttori vitivinicoli piccoli.

      • lois ha detto:

        Sulla bontà del Vino italiano non ho alcun dubbio. Sono un amante dei vini buoni e molto spesso ho l’imbarazzo della scelta, per ogni segmento e per ogni regione. Restano due fattori importanti, come giustamente sottolinei. Uno è il livello qualitativo che accompagna la promozione (ma per le nuove leve non la sostituisce), l’altro è proprio la comunicazione che perlopiù passa dall’etichetta. Ma come in tutti i nostri settori, siamo “antiquati” (con le dovute eccezioni) e su alcuni aspetti non si pone la giusta attenzione. Ma bisogna stare attenti, perché i competitor avanzano a spada tratta; i francesi, i nostri storici “antagonisti” sono in avanzata, gli australiani ed i californiani stanno portando molto avanti sia le coltivazioni autoctone di qualità sia la distribuzione mondiale che prosegue alacremente al di fuori di ogni aspettativa!

        • Bricolage ha detto:

          Loro (californiani e australiani) hanno tratto giovamento dalle produzioni intensive: hanno cioè oggi i soldi per affrontare metodologie comuni e tradizionali da sempre usate da noi. Qui è il gap – come sottolinei giustamente tu.
          Il problema è l’etichetta? ma per chi? per i comuni clienti o per gli specializzanti/amanti del vino?
          Secondo me la battaglia è sui prezzi, trovare un giusto equilibrio che posizioni marca, qualità e prospettiva economica, in un solo elemento: il vino.
          L’etichetta poi cosa dovrebbe contenere? Famiglia, vitigno, vino, percentuali di solforosa o altro?
          Secondo me continueranno a scannarsi per lungo tempo.

          • lois ha detto:

            Ma probabilmente è anche l’aertura mentale che limita i produttori. Alla fine i marchi italiani noti nel mondo sono veramente pochi. Sono noti i vitigni. Ad esempio se parli di Falanghina o Nero d’Avola all’estero ti capiscono e apprezzano, ma difficilmente sapranno citarti una casa vinicola di produzione. Forse la verità è proprio questa è che molte di queste aziende che perseguono nella qualità e nella produzione autoctona non hanno ancora la capacità di “gaurdare in grande” ad un mercato sempre più frazionato ed esteso.
            Sulla questione dei prezzi in parte concordo, ma è pur vero che alcune preziose produzioni sono limitate e non possono essere contenute in prezzi modici (penso ad esempio al passito di Pantelleria) perchè c’è una lavorazione molto complessa e lunga. Il problema è forse di tutta quella fascia media, che alla fine non è né carne né pesce e che pretende di identificarsi in una fascia di valore solo attraverso il prezzo.
            Poi alla fine, andando a ricercare con meno di dieci euro si possono scoprire essenze e valori di altissimo livello che (a mio avviso) valgono molto più dei premiati e rinomati solo perchè hanno un budget pubblicitario molto importante. Ma De Gustibus…… 🙂

            • Bricolage ha detto:

              Concordo su tutta la linea.
              I piccoli secondo me non sono neppure troppo interessati. Studiando ho scoperto anche che da noi c’è un grosso divario tra aziende e cantine sociali, la cui distribuzione muta secondo i territori di provenienza. Le seconde, ad esempio, hanno dentro una grossa componente di personalità diverse con differenti scopi. Creare una consequenzialità sarebbe una filiera difficilissima, se non si avesse dietro una grossa pianificazione e/o progetto comune.

  2. Alex ha detto:

    Aveva torto il poeta che diceva : “Cosa c’importa del flacone purché si abbia l’ebbrezza”. Ormai, i vini si vendono come dei profumi sul mercato asiatico e una bella etichetta è essenziale per distinguersi dagli altri. Anche i grandi vini bordolesi fanno questo lavoro eppure non ne hanno bisogno !

    Alex

  3. ogginientedinuovo ha detto:

    Come per tante altre cose, facciamo fatica a sfruttare le sinergie che potrebbero fare la differenza sul mercato. Poi, la qualità non si può nemmeno discutere…
    Il tuo blog è sempre molto interessante e per questo ti ho nominato per The Versatile Blogger Award. Non tanto per il premio quanto per dirti che ti leggo sempre volentieri! 🙂

  4. salinaversosud ha detto:

    Credo bisogni darsi un’opportunità.
    Come fidelizzare un cliente, se questi non è spinto neanche al primo sorso.
    Quindi: vedere cosa piace al cliente.
    Da ricerche, emerge che l’etichetta di design spinge maggiormente a provare il prodotto?!
    Facciamola.
    La qualità farà il resto e con il tempo la brand Heritage conquistata, permetterà maggiori margini di manovra e maggiore libertà anche in campo packaging.
    Ma ripeto: il primo passo per fidelizzare un cliente è spingerlo al primo assaggio.

  5. silviettacosta ha detto:

    Ti ho nominato per il Versatile Blogger Award!!! Trovi le regole per accettare il premio sul mio blog (http://lamiathule.wordpress.com/). Congratulazioni!

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