Considerazioni su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.

Il film è balzato all’onore della cronaca nazionale e internazionale per via della nomination agli Oscar, dividendo molti critici cinematografici e spettatori nei giudizi. S’è parlato molto de La grande bellezza di Paolo Sorrentino e qui su Italiaiocisono aggiungiamo un’ulteriore analisi.

Il richiamo a Fellini è molto forte, ma vediamo un film molto diverso da ciò che ci si potrebbe aspettare. Diverso non solo per il messaggio, ma anche per il periodo in cui si svolge la trama. Ciò che ha fatto scandalizzare molti commentatori nostrani, preoccupati per l’ennesima gettata di fango sull’Italia, non è nè lontano della realtà nè un ritratto troppo impietoso del nostro tempo.

Roma, capitale e centro millenario del potere, si consuma nella mondanità e nella vacuità dei personaggi che la popolano. La “fauna” che il film descrive, per usare le parole del protagonista Jep Gambardella, è l’effetto diretto di una città che vive sempre in festa, per sfuggire ad una realtà che non comprende.

La crisi non è solo economica, è anche morale. La generazione di questi vecchi che ballano e si godono un benessere non più sostenibile va a pesare sulle nuove generazioni. Non c’è nessun buon esempio che queste persone sappiano produrre. Spenta la musica, quando questa fauna si guarda dentro non scorge nulla. Un nulla che ha sullo sfondo i palazzi, fontane e i magnifici corsi di una Roma eterna e opulenta.

Il fascino della decadenza lo troviamo anche nella scena della Costa Concordia, uno dei tanti simboli della nostra epoca e del nostro paese. Quanto c’è di vero ne La grande bellezza? Il romano in canottiera che si sciacqua le ascelle nella Fontana dell’Acqua Paola, il prelato che si intende più di cucina che di spiritualità, la soubrette in disfacimento sono personaggi che ci sono, purtroppo, familiari.

Tutto questo è la descrizione di una parte del nostro paese che balla sulle  pelle delle nuove generazioni. Un nucleo di uomini e donne viziosi destinati a sparire.

Ecco quindi che arriva l’esempio della missionaria che si nutre di radici e dorme sul duro pavimento. Il simbolo di una nuova Italia che conserva le proprie radici ma che ha smesso di ballare. Che vive di giorno e non di notte, lavorando e migliorando questa società decadente.
Essendo di ispirazione felliniana, La grande bellezza porta un grande carico di simbologia ed è facile vedere diversi messaggi nel film. Non è sicuramente un film all’altezza del grande regista romagnolo, ma è sicuramente un’opera che merita il riconoscimento per quello che è: un tentativo di descrivere l’Italia di oggi. Non resta quindi che aspettare e tifare per un Oscar al miglior film straniero.

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Italia nello Spazio: la Stazione Spaziale Internazionale.

Ci siamo già occupati di scienza e di quanto questa abbia influenzato la nostra storia e la nostra cultura. Galileo, Leonardo, Cardano, Fermi, Natta e moltissimi altri sono i personaggi che hanno contribuito al progresso scientifico e onorato l’Italia con le proprie scoperte. Ma la scienza non è fatta solo da grandi uomini.

Al giorno d’oggi la scienza è fatta da organizzazioni, da aziende specializzate e da moltissimi ricercatori, ingegneri e tecnici dalle grandi capacità e di esperienza provata. Gli italiani possono essere orgogliosi di guardare le stelle e vedere un prodigio della tecnologia orbitare sopra le loro teste. Iniziamo a raccontare l’Italia nello spazio con la Stazione Spaziale Internazionale.

Questa struttura modulare, orbitante tra i 278 km e i 460 km di altezza alla velocità di 27.743,8 km/h, è stata iniziata nel 1998 e verrà probabilmente ultimata quest’anno. Su questa grande struttura orbitante sono stati fatti numerosi esperimenti, ma ciò che la rende speciale è la partecipazione di numerosissimi Paesi riuniti nelle rispettive Agenzie spaziali come Nasa, Esa, Jaxa ecc.

Come si inserisce l’Italia in questo panorama? Uno, per aver mandato due astronauti, Paolo Nespoli e Luca Parmitano sulla ISS, a cui si aggiungerà alla lista Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana ad andare nello spazio dal prossimo Novembre 2014. Secondo, per aver costruito buona parte della Stazione Spaziale Internazionale in provincia di Torino. La Joint Venture italo-francese Thales Alenia Space, per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana, ha infatti costruito i moduli Harmony, Tranquility, la bellissima Cupola che ha permesso di scattare foto spettacolari e controllare meglio le missioni all’esterno, e per finire diversi moduli logistici compreso l’Atv, un veicolo per i rifornimenti. Il contributo dell’italia ha ormai superato il mezzo miliardo di euro, riuscendo a distinguersi tra paesi con Agenzie Spaziali da budget, c’è da dirlo, astronomici.

Ma non è solo tecnologia che orbita sopra la terra, è anche agroalimentare. “Cosa c’entra?” direbbe qualcuno. Ebbene, persino l’acqua che bevono gli astronauti è Torinese. I russi amano l’acqua che sgorga dai pozzi di corso Marche, mentre gli americani quella della Pian della Mussa. Con questo biglietto da visita abbiamo aperto la sezione Italia nello Spazio, una sezione che arricchirà la parte scientifica di Italiaiocisono mostrando le fatiche e gli onori di un settore tecnologicamente molto avanzato, dove riusciamo a fare meraviglie.

E’ quindi nostro compito diffondere i frutti del lavoro dell’Italia che lavora, in silenzio, facendo vera innovazione. Il futuro sarà nell0 spazio, dall’estrazione di minerali dagli asteroidi al turismo spaziale. In questo affascinante campo c’è Italiaiocisono e ci siete voi lettori, il conto alla rovescia è incominciato.

Il pane di Altamura, una poesia di grano duro dall’entroterra pugliese.

Al giorno d’oggi non è difficile trovarlo in tutta Italia e chiunque ne ha assaggiato almeno una fetta, dopo averne sentito il profumo da diversi metri. Parliamo del pane di Altamura, che prende il nome del paese in provincia di Bari in cui è stato creato.

Nella sua forma bassa (detta a cappidde de prèvete, a cappello di prete) può essere considerato la concretizzazione dell’idea di pagnotta classica, ma lo si trova anche la forma alta: U sckuanète (pane accavallato). L’inconfondibile aroma è dato in parte da lievito madre con cui è prodotto, cioè un pezzo di pasta rimosso dalle precedenti preparazioni, messo a riposo e aggiunto alla nuova pasta.  In questo modo si conservano lieviti e batteri lattici anche per decenni, microrganismi che con la loro attività rendono acida la pasta. Per l’impasto viene utilizzata la semola di grano duro, che conferisce un sapore deciso al pane.

Il pane di Altamura è un prodotto della cucina popolare tipicamente italiana: le massaie preparavano l’impasto in casa, imprimendo un marchio sulla forma. L’impasto veniva raccolto con un carretto dal fornaio che provvedeva a cuocerlo e riconsegnarlo alle famiglie di appartenenza. Anni e anni di infornate hanno fatto il resto.

Dal 2005 ha ricevuto la DOP, il primo in Europa per questo settore. Come al solito il disciplinare prevede una serie di caratteristiche che rendono unico il pane di Altamura. Il grano duro utilizzato per la produzione deve provenire esclusivamente dai Comuni di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge, in provincia di Bari.

Il consiglio è quindi di diffidare dalle imitazioni e decidere solo in che forma gustarlo!

“Concerto per Oboe in Do maggiore” di Domenico Cimarosa. XVII secolo.

Per godere di questo preziosissimo concerto, bisogna alzare il volume e chiudere gli occhi. Solo dopo qualche minuto si puó tornare sulla terra e commentare questa notevole composizione. L’autore, Domenico Cimarosa, è forse uno dei più grandi musicisti della tradizione napoletana della musica classica.

Nato ad Aversa nel 1749, Domenico ha mostrato fin da giovanissimo un grande talento musicale e dopo essersi iscritto al Conservatorio di Santa Maria di Loreto è diventato clavicembalista, violinista, organista e cantante. Il carattere poliedrico del suo talento è stato fondamentale quando il Cimarosa ha incominciato a dedicarsi alle commedie dell’arte. La sua brillante carriera ha preso il volo presto e le sue opere hanno conquistato i teatri d’Italia e d’Europa, approdando persino alla corte russa di Caterina la Grande. Dopo essersi trasferito a San Pietroburgo, ha scritto alcune opere e cantate per il Teatro Ermitage, salvo poi espatriare dopo venti di guerra tra la Russia e la Polonia.

Nel viaggio di ritorno ha soggiornato a Varsavia e a Vienna, dove l‘imperatore Leopoldo II lo ha nominato maestro di cappella. Qui ha creato un capolavoro che ben rappresenta il genio artistico del Cimarosa: Il matrimonio segreto. L’ultima fatica ha ottenuto un successo strepitoso e al suo ritorno a Napoli, l’opera è stata inscenata per 110 sere di fila al Teatro dei Fiorentini.

Dopo qualche tentativo di buttarsi in politica e il suo ultimo viaggio a Venezia, Domenico Cimarosa è morto in un palazzo della città il 11 gennaio 1801. La produzione che rimane di questo grandissimo e ancora sottostimato compositore è molto vasta, e non v’è dubbio che riparleremo ancora dei suoi numerosi capolavori.