“Io non ho bisogno di denaro” di Alda Merini. 2003.

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti….
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

È difficile commentare una delle grandi poesie di Alda Merini senza intaccarne la purezza. Ormai sono passati quasi quattro anni dalla sua scomparsa, ma la sua poesia rimane ancora forte come l’animo di questa donna, nata in una Milano che tanto l’ha ispirata e che al contempo ha reso fiera. Una città percepita dal resto del mondo come nebbiosa e dal cuore freddo, ma che la Merini ha scosso nel profondo con la passione ardente della poesia.

Guai a cercare di rinchiudere questa sciura dentro categorie preconfezionate! Non dimentichiamoci del suo “Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita”. Proprio per questo ognuno può scoprire la propria Alda nel mare sconfinato della sua produzione, e imparare a vivere con l’intensità di quest’intima maestra di vita.

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Tutti alle Urne! Era il 2 Giugno 1946.

A poche ore dall’apertura dei seggi, rispolveriamo un articolo del Corriere uscito un giorno speciale, un giorno storico. Era il 2 giugno del 1946 e l’entusiasmo della ritrovata democrazia si respirava nell’aria. Vent’anni di fascismo sono bastati per capire l’importanza del voto, e l’articolo testimonia questa consapevolezza. Oggi forse c’è più sfiducia, ma rileggere un documento storico può farci riflettere, e portarci tutti a votare domenica e lunedì!

«Tutti alle urne! E tutti alle urne con serietà, con compostezza, con calma e con un gioioso senso d’orgoglio. Sì, siamo orgogliosi di aver finalmente ritrovato noi stessi; orgogliosi di essere ancora dei cittadini; di avere riacquistato il diritto e il dovere – negatici dal fascismo col sostegno della monarchia – di contribuire individualmente e direttamente alle sorti del nostro Paese; orgogliosi che il domani d’Italia dipenda anche dal nostro piccolo voto odierno; orgogliosi di poterlo dare liberamente come ci detta la nostra coscienza. Tutti alle urne! Alle urne i vecchi che da più di venti anni mordevano il freno condannati – dal fascismo col sostegno della monarchia – a tacere, a disinteressarsi della cosa pubblica e ad assistere parzialmente passivi alla follia di Mussolini, affiancato dal Re, all’aberrante fanatismo dei nazionalisti, alla prepotenza, alla cupidigia, alla corruzione dei gerarchi che ci dovevano gradatamente portare a questa immane ruina; alle urne i giovani, giustamente lusingati di sentirsi oggi uomini e di dare, come tali, il loro appoggio alla creazione della nuova Italia nella quale dovranno affermare la loro personalità; alle urne le donne, le nostre donne tanto ansiose di tempi migliori in cui non dovranno più temere né piangere per i loro sposi, per i loro figlioli e per la loro casa. Tutti alle urne! Alle urne disciplinatamente, senza chiassate e senza provocazioni. Rinnoviamo l’esempio dato nella giornata delle elezioni amministrative quando dovunque, nei piccoli e nei grandi centri, tutto è proceduto con ordine, senza incidenti e senza tumulti talché gli stranieri stessi, sempre un po’ diffidenti verso di noi, ne sono rimasti sorpresi e ammirati. Tutti alle urne! Alle urne senza paure, serenamente convinti dell’importanza del nostro voto e fiduciosi nel successo della causa per cui andiamo a darlo. Ma quale sia per essere l’esito del referendum impegniamoci fin d’ora ad accettarlo e a rispettarlo. Così in questo riconoscimento e in questa accettazione della volontà popolare, noi daremo al mondo la miglior prova che siamo degni della libertà che abbiamo finalmente riconquistato». [Nu. Cds 2/6/1946]

Primo Levi e la sua piazza ad Haifa

“Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.”

Haifa è una cittadina soleggiata nel nord d’Israele, oggi coinvolto nelle mai finite guerre arabo-israeliane, che nell’anniversario dei 25 anni dalla scomparsa di Primo Levi ha dedicato una piazza al grande Uomo.

Alzi la mano chi non ha letto il suo “Se questo è un uomo“, un’opera che racchiude tutto il dramma dell’Olocausto. Come arriva a scrivere questa preziosa testimonianza? Levi nasce a Torino nel 1919 da una famiglia di origine ebrea. Cresce sotto il Fascismo e si diploma in un liceo classico, con il padre iscritto controvoglia al partito e Primo stesso balilla e avanguardista. Le infami leggi razziali impediscono ai giovani ebrei di intraprendere la carriera universitaria ma consente a chi è già iscritto di concluderla. Nel 1941 ottiene la laurea con lode in Chimica e si trasferisce a Milano, dove frequenta circoli antifascisti fino ad iscriversi al Partito D’Azione.

La seconda guerra mondiale vede Levi perseguitato in quanto ebreo e nel 1944 viene deportato ad Auschwitz. Incomincia l’inferno. Il travaglio, le fatiche e le disperazioni di questo periodo sono magistralmente documentate nel libro.
La conoscenza della chimica e del tedesco gli permettono di lavorare alla famosa Buna, che produceva gomma sintetica. Levi vede i camini, i corpi scheletrici, la morte e la crudeltà senza scrupoli. Si ammala di scarlattina ma riesce in seguito a scampare miracolosamente dalla marcia di evacuazione.

Finita la guerra, l’uomo è ormai segnato. Tutta la sua fede nella bontà degli uomini è scomparsa e l’unico scopo di vita è raccontare le atrocità di quel periodo. Mostrarci la verità nuda e cruda, farci vedere quanto l’uomo può diventare bestia. “Se questo è un uomo” è solo il primo di tanti libri famosi che scriverà fin quando la depressione non finirà quel martoriato corpo nel 1987.

La dedica della piazza è certamente un buon segno e una buona azione in memoria di Primo. Bisogna chiedersi però cosa penserebbe della guerra, quella di oggi. Direbbe, forse, che ancora una volta ci siamo cascati.

Giangiacomo Feltrinelli. Storia di un Editore.

“Cambiare il mondo con i libri, combattere le ingiustizie con i libri”

Sulle azioni di Giangiacomo Feltrinelli ci possono essere molte recriminazioni, ma quello che non possiamo negare è l’importanza che quest’uomo ha avuto per l’accesso alla cultura da parte della massa italiana nel dopoguerra. Feltrinelli nasce nel 1926 da una familia nobile e ricchissima, il padre è presidente di importanti società come Edison e Credito Italiano.

Tuttavia il giovane Feltrinelli non si trova a suo agio nell’ambiente altoborghese e durante la seconda guerra mondiale lotta con gli antifascisti. Giangiacomo diventa quindi militante, si iscrive nel 1944 al partito comunista e nel dopoguerra si impegna per diffonderne l’ideologia in Italia fino a fondare più avanti i Gruppi di Azione Partigiana, un gruppo paramilitare di sinistra.

Nel fonda nel 1954 la Casa Editrice omonima. É un imprenditore molto energico e innovatore, e mette anima e corpo nella crescita della sua creatura. La biblioteca della casa editrice è una delle più importanti del continente per quanto riguarda la documentazione storica sulle ideologie politiche a partire dal sedicesimo secolo. Negli anni ’50 pubblica libri destinati ad essere bestseller come il polemico Il dottor Živago di Borís Pasternàk e Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

L’impegno politico non viene meno e in sudamerica stringe amicizia con Fidel Castro e con Régis Debray che conosce in Bolivia, protagonista francese del tentativo di rivoluzione di stampo cubano nel paese sudamericano. Torna in Italia e con la strage di piazza Fontana inomincia un periodo di clandestinità che finirà con il suo assassinio nel 1972 probabilmente da parte dei servizi segreti americani.

Questo è l’uomo c’è c’è dietro alla casa Editrice. Dalla sua morte l’azienda viene portata avanti dalla famiglia: viene fondata Ricordi Mediastore e molte altre controllate. La Fondazione Feltrinelli ha continuato ad espandersi attraverso attività di ricerca, convegni ed altri eventi. La Casa Editrice è ora una delle maggiori italiane e ora la Fondazione vuole costruire una nuova sede a Milano in Porta Nuova:

In questa sede troverà posto la biblioteca, uffici e negozi della Feltrinelli. Il progetto è firmato Herzog e non sarà solo una preziosa aggiunta al patrimonio architettonico milanese, ma anche una sede all’altezza del grande Editore.

Pane toscano ovvero noi lo si fa più bono

« Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, … »

Dante lo ha addirittura messo nel Paradiso. Cos’avrà di così speciale questo pane? Beh, chi ha avuto occasione di assaggiarlo fa bene a chiederselo. Dipende da dove sei nato ovviamente! A noi norditalici piace bello salato, saporito. Quando al ristorante ci portano queste fette dall’aspetto e profumo delizioso, ci sorprendiamo dopo una gran morsicata.

Dov’è finito tutto il sapore?? Quel giorno mastro panettiere era in vacanza? No! Siamo in Toscana o in Umbria. Dite che il resto del mondo ci mette il sale e loro s’offendono. Chiaramente sentiranno di più il vero sapore dei farinacei cotti e il sale lo useranno solo sul contorno. Sull’insalata, s’intende.

In fondo una ragione ci può essere. Quando pucciamo una fetta nella trippa alla Fiorentina, il sapore del pane è l’ultimo dei nostri problemi.