Il pane di Altamura, una poesia di grano duro dall’entroterra pugliese.

Al giorno d’oggi non è difficile trovarlo in tutta Italia e chiunque ne ha assaggiato almeno una fetta, dopo averne sentito il profumo da diversi metri. Parliamo del pane di Altamura, che prende il nome del paese in provincia di Bari in cui è stato creato.

Nella sua forma bassa (detta a cappidde de prèvete, a cappello di prete) può essere considerato la concretizzazione dell’idea di pagnotta classica, ma lo si trova anche la forma alta: U sckuanète (pane accavallato). L’inconfondibile aroma è dato in parte da lievito madre con cui è prodotto, cioè un pezzo di pasta rimosso dalle precedenti preparazioni, messo a riposo e aggiunto alla nuova pasta.  In questo modo si conservano lieviti e batteri lattici anche per decenni, microrganismi che con la loro attività rendono acida la pasta. Per l’impasto viene utilizzata la semola di grano duro, che conferisce un sapore deciso al pane.

Il pane di Altamura è un prodotto della cucina popolare tipicamente italiana: le massaie preparavano l’impasto in casa, imprimendo un marchio sulla forma. L’impasto veniva raccolto con un carretto dal fornaio che provvedeva a cuocerlo e riconsegnarlo alle famiglie di appartenenza. Anni e anni di infornate hanno fatto il resto.

Dal 2005 ha ricevuto la DOP, il primo in Europa per questo settore. Come al solito il disciplinare prevede una serie di caratteristiche che rendono unico il pane di Altamura. Il grano duro utilizzato per la produzione deve provenire esclusivamente dai Comuni di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge, in provincia di Bari.

Il consiglio è quindi di diffidare dalle imitazioni e decidere solo in che forma gustarlo!

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Mauro Giuliani, un grande chitarrista tra Classicismo e Romanticismo.

Mauro Giuliani, nato nel 1781 a Bisceglie, è un chitarrista, compositore e violoncellista che ha varcato i confini nazionali divenendo famoso in terra austriaca per le sue composizioni e la sua attività di maestro. Giuliani proveniva da una famiglia benestante che gli ha permesso di acquisire una formazione musicale, un percorso utile per padroneggiare uno strumento usato in Italia solo per accompagnare la voce: la chitarra classica.

Trasferitosi nel 1802 in Austria, i suoi componimenti per chitarra trovano terreno fertile per la creazione di un pubblico interessato e quindi esegue a Vienna lo splendido Concerto per chitarra e orchestra n. 1, opera che ottiene un grande successo. La fama è grande e il compositore diventa nel 1815 artista principale dei concerti per il Congresso di Vienna. Tuttavia, dopo solo quattro anni ritorna in Italia per problemi finanziari e da qui si trasferisce a Roma, dopo un apprezzato concerto a Trieste, e infine a Napoli fino alla morte, sopraggiunta nel 1829.

Giuliani ci ha lasciato una notevole produzione, con più di duecento opere autografe, ed è ancora istruttivo per chi si voglia avvicinare alla chitarra classica pensata per il concerto e non solo. Oggi ascoltiamo un brano intitolato Variazioni su un tema di Händel, che ci fa sentire perfettamente l’impronta del musicista pugliese mentre rielabora opere composte dai grandi della musica classica.

La Burrata: dalla Puglia un’opera d’arte casearia.

Di fronte al sacchettino gocciolante da scartare è difficile non sentirsi bambini. Questo concentrato di delizie per il palato, mentre si slega la cordicella che attorciglia la pasta filante, risveglia quella parte del cervello che adora il buon mangiare. Pregustando la morbidezza del latticino, l’inconscio goloso che si nasconde in tutti noi incomincia a mandare segnali ben precisi: arriva l’acquolina.

Quando il coltello affonda nell’involucro, a poco a poco si rivela il prezioso contenuto. Un cuore di straccetti, annegati in una delicata crema di latte, incomincia a fluire lentamente nel piatto, ma non per molto. Difficile infatti resistere a una simile tentazione, a quel gustoso parente della mozzarella che nasce nel profondo sud della penisola italiana.

L’area di produzione si trova nella provincia di Bari, anche se originariamente veniva prodotta ad Andria e Martina Franca. Oggi troviamo la burrata come prodotto da consumare da solo o sui vari piatti della cucina italiana come nel risotto, lasagne, come condimento per la pasta e così via.

Il caldo estivo e la voglia di cibi freschi sono scusanti abbastanza convincenti per andare al supermercato o, se siete fortunati, al caseificio più vicino ad acquistare un po’ di quello che possiamo vedere come un’inno alla gioia della buona cucina nostrana.

Si Fa Presto a Dire Uva!

Oggi vediamo un filmato che parla di una parte importante della nostra cultura: l’enogastronomia. In particolare, sull’uva da tavola e su quella da vinificazione. Il frutto della vite, nel nostro paese, è sempre stato un alimento importante e ha modificato il paesaggio e le nostre tavole. In epoca recente, lo sviluppo della filiera produttiva e le conquiste agrotecniche, così come l’ampliamento del mercato e la domanda di qualità sempre maggiore da parte dei consumatori, hanno posto sfide importanti per tutto questo mondo.

Ci sono vitigni autoctoni e non, frutto di incroci con piante lontane, il cui sviluppo ottimale é garantito da tecnologie sempre più innovative (come la gestone delle coltivazioni tramite tablet, l’utilizzo di teli per prolungare la bella stagione ecc.) che eliminano i parassiti ma non i molti luoghi comuni. In questo video vengono sfatati alcuni miti e si va dietro dietro le quinte della filiera produttiva dell’uva.

Così, ad esempio, quando daremo un morso ad un acino sapremo perchè avrà una buccia consistente. Non solo. Forse, se faremo nostre le soluzioni alle nuove sfide del ventunesimo secolo, diverremo promotori di un utilizzo sapiente delle nostre terre, per proteggere un settore fondamentale per la nostra cultura ed economia.

Castel del Monte e la Condanna del Centesimo

Oggi apriamo la sezione dei siti UNESCO italiani non solo per la bellezza, l’importanza storica e culturale ma anche perchè con un totale di 47 siamo il paese che ha più siti riconosciuti: l’onere e l’onore di essere un riferimento mondiale per la cultura. E un meccanismo di protezione in più, visto che molti altri siti non salvaguardati cadono a pezzi. Forse una consapevolezza maggiore può aiutare a preservare le tante opere d’arte che abbiamo donato all’umanità.

Tutti odiamo la moneta da un centesimo. Quando ci viene data come resto di un prodotto comprato a *.99 non sappiamo cosa farcene, e subito pensiamo a come sbolognarla. Ci siamo abituati a guardare distrattamente questa moneta e raramente la osserviamo con curiosità. Si può distinguere quello che ricorda un fortino compatto e regolare.

Parliamo di Castel del Monte, un edificio la cui funzione non è ancora ben chiara, situato nei pressi di Andria, in Puglia. La data di inizio costruzione risale al 1240, anche se pure questa è motivo di discussione. Siamo nell’Italia invasa dai Longobardi e dai Normanni: un dominio che influenza molto l’architettura contemporanea. L’imperatore Federico II ordina la costruzione ad un architetto, forse Lentini, ma non riesce a vederne il completamento che avviene poco oltre il 1250. Dopo il 1600 viene abbandonato e solo nel 1876, anno di acquisto da parte dello Stato italiano, viene avviata una complessa opera di restauro. Nel 1936 diventa monumento nazionale e nel 1996 arriva il riconoscimento dell’UNESCO, per la magistrale fusione in un’unico edificio di architetture occidentali e orientali.

Il Castello è a pianta ottagonale e su ogni spigolo è presente una torre. All’interno si trova un cortile, a cui si affacciano stanze trapezoidali. Si possono osservare tutti gli elementi architettonici caratteristici dell’epoca, tra bifore, trifore, scale a chiocciola, piccole e feritoie e molti altri. Al fascino dell’architettura si unisce il mistero sulla propria funzione: militare? Residenza di caccia? Rappresentanza? Forse non lo sapremo mai, ma la perfezione geometrica e la forma unica rimane un pregevole esempio di fortificazione dell’Italia meridionale. Castel del Monte è stato onorato rappresentandolo sul centesimo di euro italiano. Sinceramente, è difficile trovare qualcuno a cui piaccia avere in tasca questa sfortunata moneta, ma la prossima volta che la guarderemo avremo più rispetto per ciò che rappresenta: un gioiello medievale da mostrare al mondo.