“Adorazione dei Magi” di Sandro Botticelli. 1475.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/34/Botticelli_085A.jpgOggi parliamo di un dipinto nato dalla mano di uno dei più grandi pittori fiorentini a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento: Sandro Botticelli. Quando l’artista mette mano sull’Adorazione dei Magi è ancora poco conosciuto nell’ambiente fiorentino perchè da pochi anni ha finito l’apprendistato e si è quindi messo in proprio. Il periodo in cui vive tuttavia è il periodo d’oro rinascimentale: i mecenati abbondano e le botteghe sfornano opere d’arte a ritmi vertiginosi. Nella Firenze di quegli anni, le Corporazioni sono associazioni molto potenti e influenti nell’economia nella politica della città.

Il committente dell’Adorazione dei Magi era un un sensale e cortigiano dei Medici appartenente all’Arte del Cambio, l’Arte maggiore che raggruppava chi praticava il deposito o il prestito del denaro. Proprio per compensare la cattiva considerazione per i banchieri da parte dell’opinione pubblica, non era raro che questi potenti uomini commissionassero opere agli artisti più in voga. Gaspare di Zanobi del Lama commissionò quindi quest’opera per la propria cappella funebre in Santa Maria Novella.

In questo dipinto, che si trova oggi agli Uffizi, Botticelli posiziona le figure sacre al centro e i profani ai lati scalati in prospettiva. Ai piedi della Madonna con il bambino, circondata dai Magi, si trova Cosimo il Vecchio con i suoi due figli, mentre dietro si trova Lorenzo il Magnifico. A destra, con il vestito azzurro troviamo il committente, mentre l’ultima figura in questa parte del quadro sembra essere proprio un autoritratto del Botticelli. Il pittore decide di rappresentare la scena attorno ad rovine antiche, dando ariosità al dipinto e mostrando notevoli capacità tecniche, che lo porteranno poi ad abbellire la Cappella Sistina un lustro dopo il completamento dell’opera che abbiamo trattato oggi, nel 1475 circa.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/06/Adorazione_dei_magi%2C_botticelli_washington.jpgChi è innamorato di Botticelli si ricorderà dell’altro quadro con lo stesso nome, che oggi si trova a nella National Gallery of Art di Washington, dipinto dopo essere tornato dalla fatica alla Sistina. Entrambi i quadri ci mostrano un Botticelli costante nel tempo la cui maestria continua a stupire, un artista che assimila e innova il carattere della pittura rinascimentale italiana regalandoci numerosi capolavori.

Pubblicità

I 450 anni di Michelangelo.

Domani, 18 Febbraio, saranno esattamente 450 gli anni che ci separano dalla scomparsa di questo grande artista. Nato nel 1475 da una famiglia patrizia in difficoltà economiche a Caprese Michelangelo, un paesino vicino ad Arezzo che oggi porta il suo nome, è diventato uno dei più grandi artisti del Rinascimento e dell’intera storia italiana dell’arte. Il giovane preferiva la scultura alle altre arti, ma si dimostrò molto abile nel disegno e alla pittura, crescendo nella bottega del Ghirlandaio. I suoi idoli furono Giotto e Masaccio, le colonne della scuola fiorentina, cui si ispirò per iniziare la folgorante carriera.

Il suo animo era irrequieto e scontroso, ma era riuscito ad entrare nelle grazie di Lorenzo il Magnifico, alla cui corte da alla luce le prime opere. Da allora Michelangelo viaggiò nell’Italia rinascimentale, per poi approdare a Roma e lasciarle in dono la Pietà. Non contento, tornò a Firenze per liberare il David dal blocco di marmo in cui era rimasto intrappolato e dove dipinse alcuni tondi, tra cui il meraviglioso Tondo Doni. Di nuovo a Roma, venne incaricato dal papa Giulio II di dipingere la Cappella Sistina, consacrando l’artista all’apice del suo successo. Di lì in poi contribuì alla pittura, all’architettura e alla scultura in diversi luoghi d’Italia, citando come pregevoli esempi Piazza del Campidoglio, la facciata di Palazzo Farnese, la Basilica di San Pietro e molti altri capolavori.

Michelangelo fu studiato a fondo per i suoi non-finiti, fu analizzato il suo carattere, il suo stile scultoreo e pittorico. Lasciò un’eredità immensa alle generazioni successive. È proprio per ricordare Michelangelo che si terranno molti eventi nella sua Toscana, a partire proprio dal 18 febbraio dove al Palazzo de’ Beccai di Firenze si terrà l’apertura dell’anno giubilare michelangiolesco.

Da sottolineare poi che sul sito dell’Accademia delle Arti e del Disegno, istituto divenuto prestigioso anche grazie a Michelangelo, è stata aperta una sezione apposita per la ricorrenza con un calendario degli eventi. Anche italiaiocisono si unisce nel ricordare un grandissimo artista, attendendo trepidanti il nuovo allestimento per la Pietà Rondanini al Castello Sforzesco di Milano.

L’origine dei Broccoli e perchè fanno così bene.

Tutto ebbe origine con gli Etruschi che amavano e coltivavano cavoli, senza tuttavia farli mancare agli Antichi Greci, Fenici, Siciliani, Sardi e Corsi con cui commerciavano frequentemente. Parliamo di antiche civiltà, che tuttavia utilizzavano in cucina i cavoli per le loro proprietà nutrizionali e il loro gusto unico. Anche gli Antichi Romani impazzivano per questa verdura, tanto che persino il naturalista Plinio il Vecchio, vissuto tra il 23 e il 79 d.c. ci racconta come questa civiltà coltivasse e cucinasse cavoli. In un ottica di ricerca della bontà in tavola, qualità che si è trasmessa poi nei moderni italiani, gli antichi romani crearono una varietà chiamata broccolo calabrese.

Questo è il vegetale, appartenente alla famiglie delle brassicacee, che oggi troviamo nei nostri supermercati. Apicio, noto gastronomo dell’Antica Roma, ci da un’idea su come preparare i broccoli: “Farli bollire e successivamente passarli in pentola con dei semi di coriandolo, cipolle affettate, un filo d’olio e una spruzzata di vino“.

I broccoli rimasero un alimento sconosciuto al di fuori dello stivale fino al 1533, quando Caterina de Medici sposò Enrico II,  introducendoli probabilmente per la prima volta in Francia. Da allora si diffusero in Gran Bretagna e negli Stati Uniti nel diciottesimo secolo. I broccoli non divennero tuttavia popolari nel nuovo mondo se non a partire dal 1922 quando due immigrati italiani da Messina portarono i semi in California e incominciarono a distribuirli nelle varie città.

Ma a chi piacciono i broccoli? Molti non possono neppure sentirne parlare. E’ un peccato, perchè sono probabilmente uno degli alimenti più salutari che possiamo sperare di ingerire. Perchè? Non solo per l’apporto di vitamine del gruppo A, B, E, C, K e degli oligoelementi come il ferro, calcio magnesio, fosforo, potassio e molti altri, ma anche per le proprietà anticancerogene.

I broccoli infatti contengono sulforafano, uno dei più potenti anticangerogeni conosciuti dall’uomo e con proprietà antibatteriche, e l’Indolo-3-carbinolo, una molecola che promuove la riparazione del DNA. Per evitare di perdere queste importanti proprietà nutrizionali è meglio non bollire i broccoli ma cuocerli a vapore, in padella o nel microonde.

I broccoli sono quindi un alimento che fa molto bene alla salute ed è profondamente legato alla nostra storia e alla nostra cultura. Chi non li ama può quindi fare uno sforzo e provare questo interessantissimo vegetale, un po’ l’elisir di lunga vita che molti si affannano a cercare.

Considerazioni su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.

Il film è balzato all’onore della cronaca nazionale e internazionale per via della nomination agli Oscar, dividendo molti critici cinematografici e spettatori nei giudizi. S’è parlato molto de La grande bellezza di Paolo Sorrentino e qui su Italiaiocisono aggiungiamo un’ulteriore analisi.

Il richiamo a Fellini è molto forte, ma vediamo un film molto diverso da ciò che ci si potrebbe aspettare. Diverso non solo per il messaggio, ma anche per il periodo in cui si svolge la trama. Ciò che ha fatto scandalizzare molti commentatori nostrani, preoccupati per l’ennesima gettata di fango sull’Italia, non è nè lontano della realtà nè un ritratto troppo impietoso del nostro tempo.

Roma, capitale e centro millenario del potere, si consuma nella mondanità e nella vacuità dei personaggi che la popolano. La “fauna” che il film descrive, per usare le parole del protagonista Jep Gambardella, è l’effetto diretto di una città che vive sempre in festa, per sfuggire ad una realtà che non comprende.

La crisi non è solo economica, è anche morale. La generazione di questi vecchi che ballano e si godono un benessere non più sostenibile va a pesare sulle nuove generazioni. Non c’è nessun buon esempio che queste persone sappiano produrre. Spenta la musica, quando questa fauna si guarda dentro non scorge nulla. Un nulla che ha sullo sfondo i palazzi, fontane e i magnifici corsi di una Roma eterna e opulenta.

Il fascino della decadenza lo troviamo anche nella scena della Costa Concordia, uno dei tanti simboli della nostra epoca e del nostro paese. Quanto c’è di vero ne La grande bellezza? Il romano in canottiera che si sciacqua le ascelle nella Fontana dell’Acqua Paola, il prelato che si intende più di cucina che di spiritualità, la soubrette in disfacimento sono personaggi che ci sono, purtroppo, familiari.

Tutto questo è la descrizione di una parte del nostro paese che balla sulle  pelle delle nuove generazioni. Un nucleo di uomini e donne viziosi destinati a sparire.

Ecco quindi che arriva l’esempio della missionaria che si nutre di radici e dorme sul duro pavimento. Il simbolo di una nuova Italia che conserva le proprie radici ma che ha smesso di ballare. Che vive di giorno e non di notte, lavorando e migliorando questa società decadente.
Essendo di ispirazione felliniana, La grande bellezza porta un grande carico di simbologia ed è facile vedere diversi messaggi nel film. Non è sicuramente un film all’altezza del grande regista romagnolo, ma è sicuramente un’opera che merita il riconoscimento per quello che è: un tentativo di descrivere l’Italia di oggi. Non resta quindi che aspettare e tifare per un Oscar al miglior film straniero.

Carla Accardi e la nascita dell’Astrattismo italiano.

L’arte contemporanea ancora oggi puo’ essere difficile da digerire, anche se ormai è passato un secolo dagli inizi di questa grande rivoluzione. La storia dell’arte tuttavia ha delineato rapporti di parentela tra le varie correnti e sono ormai chiarite le ragioni che hanno portato alla nascita di questa nuova forma artistica. Di certo questo modo di intendere l’arte ha scardinato una tradizione consolidata da secoli e ha portato l’artista verso nuovi ed inesplorati lidi. Tra gli artisti che per primi in Italia hanno incominciato a produrre opere nella grande famiglia dell’Astrattismo troviamo Carla Accardi.

Carla Accardi: Senza titolo, 1972Nata a Trapani nel 1924, ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Palermo ed è subito entrata in contatto con il gruppo di pioneri con cui ha fondato nel 1947 il Gruppo Forma 1. Gli artisti riuniti in questo gruppo hanno pubblicato un manifesto formalista, in cui si legge: “ci interessa la forma del limone, non il limone, una frase che illustra bene la ricerca artistica della Accardi e ci offre uno spunto per la comprensione delle sue opere.

Nei dipinti realizzati dalla pittrice siciliana troviamo infatti colori scelti per il forte contrasto, una scelta stilistica a cui ormai siamo abituati ma che possiamo apprezzare anche a distanza di diversi decenni dalla loro creazione. Le sue opere purtroppo perdono molto in fotografia, sopratutto per quanto riguarda le dimensioni dei dipinti.

New York CityChiunque sia interessato ad approfondire la carriera artistica di questa pittrice può trovare alcune sue opere alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e al MACRO di Roma, al Museum di Bagheria e al Museo d’Arte Contemporanea di Gibellina. Carla Accardi incarna molto bene l’artista contemporanea che troviamo nei gruppi e nelle correnti italiane del dopoguerra. Ancora oggi si tengono mostre sulle sue opere non solo Italia ma anche a New York, dove il numero di exhibitions puo’ essere considerato un indice di gradimento internazionale per le opere di questa moderna donna d’arte.

La “Madonna di Foligno” di Raffaello arriva a Milano.

https://i0.wp.com/www.artapartofculture.net/new/wp-content/uploads/2011/08/1-Madonna-di-Foligno.jpgIntorno al 1511, Raffaello staccò definitivamente il pennello da una pala d’altare commissionatagli da Sigismondo de’ Conti, un segretario di papa Giulio II. Questi voleva rendere grazie alla Madonna per un miracolo avvenuto in un suo sogno: la sua casa di Foligno era rimasta intatta dopo essere stata colpita da un fulmine. Per questo motivo, Conti commissiona un’opera ad uno dei migliori pittori della Roma di quel tempo.

La Madonna di Foligno, questo il nome del dipinto, presenta una composizione piramidale e una buona resa cromatica ottenuta con i colori ad olio. La Madonna tiene in braccio il bambino e domina cinque figure nella parte inferiore del dipinto. In piedi a destra troviamo San Girolamo che presenta  il committente alla Vergine poi un angioletto al centro, San Giovanni Battista in piedi e infine San Francesco d’Assisi inginocchiato. Soffermandosi sui dettagli, si possono notare i cherubini che circondano la figura della Madonna confondendosi con le nuvole su cui poggia la coppia, mentre appena sopra la città compare un arcobaleno, simbolo della protezione divina. Il capolavoro di Raffaello, normalmente custodito nei Musei Vaticani, si trasferisce temporaneamente a Milano.

Un anno dopo la mostra di Amore e Psiche, la più visitata in Italia nel 2012, a Palazzo Marino verrà esposta gratuitamente questa pala d’altare dal 28 novembre 2013 al 12 gennaio 2014. La mostra è resa possibile da Eni che, in collaborazione con il Comune di Milano, unisce le sontuose stanze di Palazzo Marino ai capolavori dell’arte italiana per portare avanti una preziosa collaborazione pubblico-privato. Non resta quindi che mettersi in coda e godersi una splendida opera dipinta da un grande maestro rinascimentale.

Giambattista Bodoni e gli eleganti caratteri tipografici.

Ci piace leggere. Leggiamo tanto, dappertutto. Dai libri, agli schermi alle pubblicità, siamo invasi ogni giorno da migliaia e migliaia di lettere che si susseguono l’una all’altra. Ora dolcemente, come la descrizione di un paesaggio alpino, ora bruscamente come una reclame. Molto spesso, attraversiamo le parole senza curarci di loro: sono lo strumento che la nostra curiosità usa e poi getta via fino a quando non ne avremo ancora bisogno. Alcune persone tuttavia lasciano perdere i significati e guardano estasiati le lettere, queste magnifiche opere d’arte che ornano i nostri spazi.

Un tocco, un ricciolo o una linea lunga quando basta. La bellezza del carattere è questione di misure, ma è anche il più piccolo dettaglio che rende un carattere un gran carattere. Giambattista Bodoni è uno di quei grandi uomini innamorati della tipografia che ci fanno leggere ancora oggi grazie alle loro invenzioni. Nato nel 1740 a Saluzzo, Bodoni è stato esposto da subito all’amore della sua vita: il padre era stampatore.

https://i0.wp.com/www.vatican.va/roman_curia/congregations/cevang/archivio/images/cong_3b.jpgDopo aver lavorato nella tipografia della Congregazione per la Propagazione della Fede a Roma, Giambattista si trasferisce a Parma e incomincia a lavorare alla Tipografia Reale dove si occupa della supervisione di edizioni dei grandi classici. La cura di Bodoni dedicata alla qualità della carta e alla scelta dei caratteri fa sì che il nome del tipografo si diffonda in tutta Europa. Bodoni iniziava all’arte tipografica diversi alunni poi diventati famosi a loro volta, ma quello a cui tutti noi gli dobbiamo è la famiglia di caratteri omonimi da lui inventati. Questi caratteri erano molto innovativi per l’epoca: le linee erano molto sottili e perpendicolari, una caratteristica che le contrapponeva ai caratteri rinascimentali allora in voga.

Proprio per la lunga attività svolta a Parma, oggi troviamo nelle insegne di negozi, cartelli stradali e comunicazioni del comune proprio l’impronta di Bodoni. Allora la prossima volta che andremo a Parma sapremo distinguere questi prezioni caratteri con orgoglio, magari dopo aver frequentato un bel corso di tipografia.