“Concerto per Oboe in Do maggiore” di Domenico Cimarosa. XVII secolo.

Per godere di questo preziosissimo concerto, bisogna alzare il volume e chiudere gli occhi. Solo dopo qualche minuto si puó tornare sulla terra e commentare questa notevole composizione. L’autore, Domenico Cimarosa, è forse uno dei più grandi musicisti della tradizione napoletana della musica classica.

Nato ad Aversa nel 1749, Domenico ha mostrato fin da giovanissimo un grande talento musicale e dopo essersi iscritto al Conservatorio di Santa Maria di Loreto è diventato clavicembalista, violinista, organista e cantante. Il carattere poliedrico del suo talento è stato fondamentale quando il Cimarosa ha incominciato a dedicarsi alle commedie dell’arte. La sua brillante carriera ha preso il volo presto e le sue opere hanno conquistato i teatri d’Italia e d’Europa, approdando persino alla corte russa di Caterina la Grande. Dopo essersi trasferito a San Pietroburgo, ha scritto alcune opere e cantate per il Teatro Ermitage, salvo poi espatriare dopo venti di guerra tra la Russia e la Polonia.

Nel viaggio di ritorno ha soggiornato a Varsavia e a Vienna, dove l‘imperatore Leopoldo II lo ha nominato maestro di cappella. Qui ha creato un capolavoro che ben rappresenta il genio artistico del Cimarosa: Il matrimonio segreto. L’ultima fatica ha ottenuto un successo strepitoso e al suo ritorno a Napoli, l’opera è stata inscenata per 110 sere di fila al Teatro dei Fiorentini.

Dopo qualche tentativo di buttarsi in politica e il suo ultimo viaggio a Venezia, Domenico Cimarosa è morto in un palazzo della città il 11 gennaio 1801. La produzione che rimane di questo grandissimo e ancora sottostimato compositore è molto vasta, e non v’è dubbio che riparleremo ancora dei suoi numerosi capolavori.

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Carla Accardi e la nascita dell’Astrattismo italiano.

L’arte contemporanea ancora oggi puo’ essere difficile da digerire, anche se ormai è passato un secolo dagli inizi di questa grande rivoluzione. La storia dell’arte tuttavia ha delineato rapporti di parentela tra le varie correnti e sono ormai chiarite le ragioni che hanno portato alla nascita di questa nuova forma artistica. Di certo questo modo di intendere l’arte ha scardinato una tradizione consolidata da secoli e ha portato l’artista verso nuovi ed inesplorati lidi. Tra gli artisti che per primi in Italia hanno incominciato a produrre opere nella grande famiglia dell’Astrattismo troviamo Carla Accardi.

Carla Accardi: Senza titolo, 1972Nata a Trapani nel 1924, ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Palermo ed è subito entrata in contatto con il gruppo di pioneri con cui ha fondato nel 1947 il Gruppo Forma 1. Gli artisti riuniti in questo gruppo hanno pubblicato un manifesto formalista, in cui si legge: “ci interessa la forma del limone, non il limone, una frase che illustra bene la ricerca artistica della Accardi e ci offre uno spunto per la comprensione delle sue opere.

Nei dipinti realizzati dalla pittrice siciliana troviamo infatti colori scelti per il forte contrasto, una scelta stilistica a cui ormai siamo abituati ma che possiamo apprezzare anche a distanza di diversi decenni dalla loro creazione. Le sue opere purtroppo perdono molto in fotografia, sopratutto per quanto riguarda le dimensioni dei dipinti.

New York CityChiunque sia interessato ad approfondire la carriera artistica di questa pittrice può trovare alcune sue opere alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e al MACRO di Roma, al Museum di Bagheria e al Museo d’Arte Contemporanea di Gibellina. Carla Accardi incarna molto bene l’artista contemporanea che troviamo nei gruppi e nelle correnti italiane del dopoguerra. Ancora oggi si tengono mostre sulle sue opere non solo Italia ma anche a New York, dove il numero di exhibitions puo’ essere considerato un indice di gradimento internazionale per le opere di questa moderna donna d’arte.

“Oh mia bela Madunina” di Giovanni D’Anzi. 1934.

Passeggiando a Milano per le vie del centro di sera, accarezzati da una leggera brezza alpina, ci si può imbattere in grossi viali abbelliti da palazzi settecenteschi. Guardando un po’ più là, tra le antenne dei nuovi grattacieli in costruzione, si distingue un puntino giallo: la Madunina.

In cima alla guglia, tutta sola e superata in altezza da edifici moderni, la Madonnina vigila sui milanesi storici e sui nuovi arrivati. Chi in chiesa ci va e chi non ci va si sente comunque a casa quando vede questa splendente statua in cima al proprio Duomo.

Ora che i restauri stanno volgendo al termine la si può ammirare in tutta la sua bellezza e non si può fare a meno di fischiettare spensierati “Oh mia bela Madunina“, canticchiando in milanese grossolano.

La canzone è stata scritta dal pianista Giovanni D’Anzi nel 1934, a cui veniva chiesto di suonare canzoni napoletane dai nuovi immigrati del Sud Italia. E allora ecco una canzone dal tono ironico ma che è anche un inno a quella parte scherzosa di una grande città, quella che D’Anzi definiva, non a torto, un gran Milan.

L’evoluzione della Vespa dal 1943 al 2013.

Oggi andare in giro con una Vespa d’altri tempi è un lusso che pochi si possono permettere. L’ASI predispone addiritura un registro di moto d’epoca, un meccanismo burocratico che tutela un prodotto entrato nella storia d’Italia parallelamente al boom del dopoguerra. L’origine del nome lo si fa risalire ad un acronimo (Veicoli Economici Società Per Azioni) ma chi ci vuole vedere più poesia sostiene che Enrico Piaggio, dopo aver sentito il rumore prodotto dal motorino abbia urlato: «sembra una vespa.

Era il 1946 quando è stato brevettato il modello progettato dal geniale ingegnere aeronautico Corradino D’Ascanio, e da allora la Vespa è entrata nell’immaginario comune. Per noi millennials la Vespa è una sola. “Abominio!” Direbbe qualcuno. La Vespa è una famiglia, allargata, i cui “figli” seguono la moda del momento e la creano. Cambiano le linee, si alza la sella, le ruote si allargano. Come fare per seguire le trasformazioni del motorino per antonomasia? Ecco che i parigini Nomoon ci vengono in soccorso presentandoci Vespalogy: un video davvero ben fatto sull’evoluzione del celebre modello.

Gli operai Piaggio in mostra.I creatori ci tengono a sottolineare che non si tratta di una pubblicità, bensì di una dichiarazione d’amore per un motorino che ha conquistato l’Italia e il mondo. Una bella ventata di aria fresca di questi tempi per ricordarci che anche noi sapevamo e sappiamo fare grande industria, quella che crea prodotti innovativi che piacciono a noi e a chi ama il nostro stile di vita.

Mauro Giuliani, un grande chitarrista tra Classicismo e Romanticismo.

Mauro Giuliani, nato nel 1781 a Bisceglie, è un chitarrista, compositore e violoncellista che ha varcato i confini nazionali divenendo famoso in terra austriaca per le sue composizioni e la sua attività di maestro. Giuliani proveniva da una famiglia benestante che gli ha permesso di acquisire una formazione musicale, un percorso utile per padroneggiare uno strumento usato in Italia solo per accompagnare la voce: la chitarra classica.

Trasferitosi nel 1802 in Austria, i suoi componimenti per chitarra trovano terreno fertile per la creazione di un pubblico interessato e quindi esegue a Vienna lo splendido Concerto per chitarra e orchestra n. 1, opera che ottiene un grande successo. La fama è grande e il compositore diventa nel 1815 artista principale dei concerti per il Congresso di Vienna. Tuttavia, dopo solo quattro anni ritorna in Italia per problemi finanziari e da qui si trasferisce a Roma, dopo un apprezzato concerto a Trieste, e infine a Napoli fino alla morte, sopraggiunta nel 1829.

Giuliani ci ha lasciato una notevole produzione, con più di duecento opere autografe, ed è ancora istruttivo per chi si voglia avvicinare alla chitarra classica pensata per il concerto e non solo. Oggi ascoltiamo un brano intitolato Variazioni su un tema di Händel, che ci fa sentire perfettamente l’impronta del musicista pugliese mentre rielabora opere composte dai grandi della musica classica.

Il futuro dell’Italia tra il Passo dello Stelvio e una Ferrari

C’è solo una cosa che può disturbare il silenzio e la maestosità delle Alpi Retiche. Non la strada del Passo dello Stelvio –ritenuta una delle strade più belle del mondo– che si arrampica sui pendii con i suoi più di 100 tornanti, ma il rombo di un motore assemblato molto più a valle. Cosa hanno in comune questo paesaggio pieno di verde e cime rocciose, e una Ferrari nuova di zecca? Cosa unisce il paesaggio alpino all’industria della bassa padana? Guardando questo video di Car and Driver: Abroad, si intuisce subito la potenza in tutti i sensi che emanano questi due simboli: l’italianità.

È un concetto dai contorni sfumati, difficile da toccare con mano, ma che diventa granito quando lo si vede da fuori. Jethro Bovingdon, il pilota, alla fine delle riprese non risparmia elogi a questa terra così ricca di un qualcosa così difficile da capire da parte di tutti noi italiani che ogni giorno creiamo quell’atmosfera. Bisogna quindi lavorare per favorire le dichiarazioni d’amore spontanee per questa terra, e intuire finalmente dove gli investimenti devono essere riversati.

Sarebbero soldi importanti e ben spesi per un motivo semplice:  siamo sicuri che rivedremo i vari Jethro Bovingdon sulle nostre strade e non solo.

Premiata Forneria Marconi, i grandi del rock progressivo italiano.

Quanti hanno avuto la fortuna di aver sentito dal vivo l’ondata di Progressive che imperversava nell’Italia degli anni ’70? Non molti, ma è impossibile non aver sentito almeno un brano della Premiata Forneria Marconi. Il gruppo, nato con il nome di Krel, ha incominciato scrivendo un paio di canzoni per pochi intenditori, per poi andare a fare da supporto a gruppi del calibro degli Yes e dei Deep Purple.

Nel 1971 è uscito il primo singolo del gruppo, Impressioni di settembre/La carrozza di Hans, e grazie all’iniziale successo la band ha in seguito acquistato una grandissima visibilità suonando sui palcoscenici di tutto il mondo. I dischi uscivano numerosi e la PFM si esibiva in Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone, dove hanno ottenuto un grande favore del pubblico. Nel ’79 hanno collaborato con Fabrizio De Andrè e negli anni ’80 sono riusciti a far piacere il Progressive anche quando stava diventando fuori moda. È di questo periodo infatti il video in playback che vediamo oggi, intitolato Chi ha paura della notte.

Con più di quarant’anni di storia alle spalle, qualche capello in meno in testa e qualche acciacco, il gruppo continua a girare il mondo suonando il rock che li ha resi famosi. Sarà pure estinta l’era dei primi esperimenti sul sintetizzatore analogico, ma il suono della Premiata Forneria Marconi ci riporta facilmente in quei bellissimi e terribili anni Settanta.